Qual è la nostra identificazione dell’io? Come rispondiamo alla domanda “Chi sono io”?
Queste sono domande importantissime che pochi hanno il coraggio o la pazienza di porsi.
Normalmente diamo semplicemente per scontato come stiano le cose. Assimiliamo sistemi di credo fin dalla nascita, semplicemente perché immersi nella società che ci circonda. Osservando gli altri impariamo a cosa porre attenzione, quali siano le priorità o le cose importanti da fare. Molto naturalmente ci adattiamo, spesso ripercorrendo la stessa strada di gioia e sofferenza dei molti venuti prima di noi.
Raramente qualcuno ci spinge a mettere in discussione il nostro sistema di credo, per domandarci chi o cosa realmente siamo.

Il corpo? La mente? Le nostre emozioni? Oppure altro? Vi è dell’altro?
L’identificazione dell’io fin dalla nascita
Secondo diverse teorie, appena nati semplicemente ci identifichiamo in un essere più ampio. Viviamo uno stato di fusione con la madre dalla quale ci distacchiamo fisicamente all’atto della nascita ma psichicamente solo con il passare del tempo.
Progressivamente andiamo a riconoscere e definire i nostri confini fisici e psichici, identificandoci così sempre più con il nostro corpo. Ricevendo segnali dagli organi di senso la mente crea la percezione e la percezione la mente, andando a creare una rappresentazione della realtà coerente sempre più complessa, nella quale strutturiamo un’immagine di noi stessi.
Assimiliamo così modelli di relazione, interazioni, sistemi culturali nei quali, per la maggior parte della vita, rimaniamo poi identificati.
Semplicemente interagiamo con le persone di riferimento e con il passare del tempo sviluppiamo una cognizione di noi stessi sempre più solida, basata sull’esperienza diretta, sul confronto, su quanto gli altri ci dicono, fanno o non fanno, sulla percezione stessa di noi stessi.
Questo processo avviene in modo naturale e, fatto salvo il caso di patologie specifiche, semplicemente ci ritroviamo identificati in noi stessi con molte idee su cosa siamo, possiamo o non possiamo essere.
Identificazione in età adulta
In età adulta ci identifichiamo con la nostra storia, con ciò che abbiamo vissuto e ottenuto nella vita. Ci paragoniamo con gli altri e, da questo confronto, stiliamo delle accurate scale di valore in cui andiamo costantemente a classificarci.
In molti ci identifichiamo con la professione, con gli oggetti che abbiamo accumulato, con il nostro status sociale o culturale. Ma spesso percepiamo mancare qualcosa, come se effettivamente non riuscissimo a cogliere un aspetto di noi stessi. Chi sono io?
Socrate, il grande saggio, si poneva costantemente questa domanda. Assillato da essa passava lungo tempo ad interrogarsi sul senso dell’esistenza.
Identificazione nel corpo
La più semplice forma di identificazione che possiamo sviluppare e mantenere nel corso della vita è quella del nostro corpo. Spesso ci riferiamo a noi stessi così. Io sono il mio corpo. Eppure siamo davvero un ammasso di ossa, tendini e cellule di ogni genere? Cosa accade quando perdiamo un arto? Quell’arto siamo sempre noi? E se li perdiamo tutti? Dov’è l’Io? Nella testa? Nel cervello?
Secondo alcuni si. La coscienza non sarebbe altro che “un’emergenza” del nostro sistema nervoso.
I nostri ricordi, la percezione di noi stessi e la consapevolezza di essere consapevoli viene definita come la nostra coscienza e essa intesa come l’effetto della complessità del nostro sistema nervoso.
Secondo altri la coscienza è qualcosa di ben più complesso e misterioso, ad oggi ancora insondabile, se non con studi rudimentali come quelli del dr. Sam Parnia.
Alcuni ritengono infatti che la coscienza sia più duratura del corpo, che vi sia un’anima e, seppur non misurabile, che essa sia la causa prima del nostro essere.
Ciò in cui ci identifichiamo diventiamo
Il problema di base con l’identificazione è che essa definisce i nostri confini. Sistemi di credo, culturali, appartenenza a gruppi specifici definiscono moltissimo della nostra vita. Se sono sono identificato in un gruppo che ha rituali e abitudini ben definite, difficilmente riuscirò a integrarmi in altre realtà. Queste differenze sono alle volte chiaramente percepite anche vivendo in un paese che dista pochi chilometri. Semplicemente ci identifichiamo.
Queste identificazioni sono spesso inconsapevoli, non scelte, maturate nel corso di una vita e possono avere effetti anche gravi sulla comunità più ampia. Pensa anche solo a quesi sistemi di credo in cui si sostengono comportamenti di offesa verso gli altri. “Se sei dei nostri devi combattere.. “.
Semplicemente siamo identificati, e più andiamo avanti e più le informazioni che raccogliamo vanno a sostenere il nostro punto di vista, alimentando sempre più la nostra identificazione. L’attenzione selettiva, un meccanismo ben noto in psicologia, ci porta ad avere sempre più conferme rispetto al nostro punto di vista, confermandolo come valido.
Identificarci con i nostri processi interni
Di certo tendiamo anche a identificarci con i nostri pensieri, con emozioni e sensazioni. Siamo spesso sballottati da movimenti di ogni genere che ci portano a vivere un alternarsi continuo di stati interni che non comprendiamo, ma che ci inducono a conclusioni su noi stessi, alle volte bizzarre e spesso giudicanti.
In moti casi non siamo consapevoli dei complessi meccanismi organici che regolano il nostro mondo interno e di come esso costantemente influenzi i nostri tessuti in un ciclo continuo.
Stress, fatica, gioia, allegria, disprezzo, tutto ciò che sperimentiamo influenza direttamente il nostro sistema influenzandolo profondamente. Oggi grazie agli studi sull’epigenetica sappiamo, ad esempio, quanto l’ambiente e le nostre reazioni ad esso, influenzino la trascrizione stessa del nostro patrimonio genetico, portandoci ad esiti di sviluppo anche molto diversi fra loro.
Il grande viaggio della consapevolezza
Ma la domanda di base rimane ed è forte. Chi sono io?
Per rispondere ad essa una via può forse essere quella della conoscenza di sè, della consapevolezza.
La consapevolezza è di certo lo strumento più importante che l’uomo possegga. Grazie ad essa siamo in grado di conoscere la realtà che ci circonda e accumulare conoscenza rispetto ad essa. Ancora più importante, grazie alla consapevolezza riusciamo a sviluppare una metaconoscenza rispetto a noi stessi.
La consapevolezza ci permette di conoscere le nostre tendenze mentali, le procedure che in automatico costantemente riproponiamo, i nostri bisogni, la reazione del nostro organismo alla soddisfazione o non soddisfazione di essi.
La consapevolezza è ciò che maggiormente differenzia fra loro le persone e lo strumento che più di tutti ci può aiutare nel liberarci dalle false identificazioni.
Liberarsi dalle false identificazioni
Nei Veda si narra di un’antica tecnica di conoscenza di sé, che si basa essenzialmente sul principio di esclusione. Io non sono questo.
Imparando a portare l’attenzione a noi stessi possiamo sviluppare la capacità di disidentificarci dalle false identificazioni che abbiamo accumulato nel corso della vita.
Il motivo principale di questo percorso, la spinta che dovrebbe spronarci a intraprenderlo, nasce dal bisogno di libertà che tutti sentiamo profondamente. Se non sono identificato nei miei processi interni, o addirittura nelle situazioni esterne, posso allora governare. Riconoscere prima e poi imparare a gestire. Viceversa se sono identificato completamente in ciò che accade intorno e dentro di me, senza nemmeno o riuscire a comprenderlo o vederlo, molto probabilmente mi sentirò inconsapevolmente immerso in esso, parte di esso, un pò come quando si è bambini.
Questo processo di “non io” si basa semplicemente sull’imparare a fare attenzione a quanto accade in me e, ogni volta che mi accorgo di qualcosa in cui non sento di identificarmi, di fare un passo indietro, di dirmi: “Io non sono questo”.
Identificazione dell’io e meditazione
Come ha evidenziato Newberg, durante il processo meditativo si osserva un fenomeno molto interessante a livello neuronale. Newberg è uno scienziato che ha passato buona parte della sua vita a studiare, grazie a risonanze magnetiche funzionali, il cervello di meditatori esperti. Nei suoi studi è emerso come il nostro sistema nervoso abbia un comportamento analogo di fronte a esperienze che possiamo definire come “spirituali”.
Gli studi di Newberg hanno dato risultati analoghi osservando il cervello di meditatori esperti, come anche quello di suore di clausura e, in generale, di persone dedite a una intensa attività “spirituale”.
Dopo una prima attivazione delle aree principalmente deputate a concentrazione e attenzione, Newberg ha osservato un calo repentino dell’attività neuronale, proprio in prossimità di quelle aree deputate al senso dell’io. Quelle aree che ci permettono di identificarci in noi stessi.
In concomitanza di questa repentina disattivazione le persone riferiscono un senso di piacere intenso, soddisfazione, benessere, addirittura beatitudine. Nel contempo di percepirsi come parte del tutto, connesse a tutto ciò che le circonda.
La meditazione per accrescere la consapevolezza di chi realmente siamo
Secondo molti tali esperienze ci avvicinano a ciò che realmente siamo. Come se questo processo di dis-identificazione, generato da pratiche meditative come la Mindfulness, ci permettesse di arrivare sempre più in profondità in noi stessi. Fino a sperimentare un senso dell’io più ampio ma questa volta consapevole, pieno, completo. Come dice il termine Mindfulness stesso di “Pienezza della consapevolezza mentale”.
Uno stato che altri neuroscienziati, come Siegel, hanno definito “l’obbiettivo evolutivo della specie umana”.
Non a caso la Mindfulness deriva dalla più antica meditazione ed essa dallo Yoga, un sistema di credo complesso e articolato che vede la vita come un cammino di unione con l’universale.
Identificazione e volontà
Infine una questione rilevante in relazione all’identificazione è quella della volontà. Come grandi terapeuti del passato hanno evidenziato, la volontà è il perno della personalità.
Volontà e consapevolezza sono i due strumenti più potenti che possiamo usare nella vita per trasformare la nostra esistenza.
La volontà è un traino potente, in grado di farci uscire dalla melma dell’automatismo. La consapevolezza lo strumento cardine per riconoscere quegli stessi automatismi e discostarcene.
Consapevolezza e volontà rappresentano così la nostra possibilità, la nostra alternativa e, in definitiva, ciò che più di tutto ci caratterizza permettendoci di identificarci in ciò che scegliamo di essere. Ciò che più di tutto ci permette di dire davvero: “Io sono questo”.