Passivo aggressivo è un termine ormai di uso comune che si riferisce ad una particolare configurazione di comportamenti.
Fino a poco tempo fa, prima dell’uscita del DSMV, il manuale diagnostico in psichiatria, questo termine veniva utilizzato per indicare anche il disturbo passivo aggressivo, “Un quadro pervasivo di atteggiamenti negativisti e di resistenza passiva alle richieste di una prestazione adeguata, a partire dall’inizio dell’età adulta”.
Nonostante nel nuovo DSM5 il disturbo passivo aggressivo non sia più presente, di certo lo stile passivo aggressivo è spesso rintracciabile in molte persone.
Al lavoro, in famiglia, con gli amici, capita di incontrare persone che tendono a mantenere alcune o molte caratteristiche aggressive nascoste dietro ad un velo di apparente passività.
Che cos’è un atteggiamento passivo aggressivo
Essenzialmente, come definito da Long e Whitson (The Angry Smile: The Psychology of Passive-Aggressive Behavior in Families, Schools, and Workplaces – 2008), il tratto aggressivo passivo consiste nella tendenza a nascondere deliberatamente sentimenti di rabbia dietro ad una parvenza di cordialità e gentilezza.
La falsa credenza (consapevole o meno) che sottende a questa tendenza mentale è che mostrare la propria rabbia direttamente sarebbe essenzialmente deleterio, dannoso e quindi da evitare. Tale rabbia o aggressività viene così portata nella relazione con l’altro grazie a tutta una serie di atteggiamenti particolarmente fastidiosi che alimentano in genere nell’altro una serie di reazioni avverse.
I classici atteggiamenti passivo aggressivi
Il silenzio
Un classico atteggiamento passivo aggressivo è quello di far finta che l’altro non esista. Non rispondergli, evitarlo, non troppo, un pò. Troppo sarebbe esplicito, evitare un pò l’altro è invece un atteggiamento più passivo ma comunque aggressivo. Il capo che “dimentica” un cambio turno che gli avevi chiesto, oppure in gruppo un amico che evita di interagire quando parli tu o che parla quando inizi tu a farlo senza far capire se ti ha sentito o meno. La strategia del silenzio è spesso usata dalle persone con questo tendenza.
Tenere il broncio
Un’altra classica caratteristica è quella di mantenere sempre un atteggiamento imbronciato, negativo, infastidito da tutto e tutti. Alle volte è normale essere imbronciati, ad esempio quando stiamo subendo un’ingiustizia, tuttavia il passivo aggressivo lo fa più per punire l’altro, per fargli capire che ha sbagliato, che non va bene, per farlo sentire in colpa o a disagio.
Non finire o ritardare i compiti assegnati
I ritardi nello svolgimento dei compiti assegnati come anche le diverse imperfezioni nello svolgimento degli stessi sono tutti atteggiamenti che spesso sottendono una certa dose di aggressività.
Nascondere o semplicemente omettere informazioni
Un altra tendenza passivo aggressiva può essere ad esempio quella di non condividere informazioni importanti che potrebbero facilitare l’altro con frasi di circostanza quando ripresi del tipo “mi spiace, ero convinto lo sapessi..”.
Parlare troppo
Anche parlare molto può essere in taluni casi una forma passivo aggressiva. La persona semplicemente non si cura dell’altro e impone la propria presenza senza fare “nulla di male”, ma di fatto saturando lo spazio della conversazione e impedendo così all’altro di dire la sua o semplicemente di partecipare alla conversazione.
L’elenco potrebbe davvero essere lungo. La questione importante è comprendere come mai questo accade, qual’è il meccanismo psicologico che sottende a tale tendenza della mente.
Perché si ricorre allo stile aggressivo passivo
In genere i modi di fare che assumiamo nella vita sono funzionali a qualcosa. Il problema è che molti degli atteggiamenti che abbiamo interiorizzato e metabolizzato derivano da fasi della vita passate. Anni difficili, all’interno di relazioni “complesse”, spesso generano in noi tendenze mentali “funzionali” in quel periodo ma di certo obsolete e controproducenti nella vita adulta.
Vivendo ad esempio con un genitore molto aggressivo esplicitamente può essere che fin da bambini si impari semplicemente a mascherare la propria rabbia. Nell’immaginario di un bambino tirarla fuori potrebbe essere molto pericoloso per le ripicche del genitore e, purtroppo, spesso non solo nell’immaginario ma anche nella realtà. Quello stesso bambino potrebbe anche aver paura di sé stesso e di quello che accadrebbe se davvero tirasse fuori tutta la rabbia che prova. Oppure un altro bambino potrebbe semplicemente apprendere per analogia lo stile passivo aggressivo da un genitore con la stessa tendenza. I casi sono davvero molti e qui non è possibile darne un elenco esaustivo.
In generale la questione è però che la persona che soffre di questa tendenza non è in grado di gestire i propri confini e, in generale, i conflitti con la l’altro. Si trova in una condizione di sofferenza e negatività che le preclude la possibilità di vivere un rapporto davvero schietto e sincero.
Come gestire uno stile passivo aggressivo
Dipende se a gestirlo dev’essere la persona stessa che lo vive o chi lo subisce. Nel primo caso ciò che consiglio è più un percorso di psicoterapia in cui possano essere affrontati i temi cruciali che portano a tale sofferenza. In aggiunta suggerirei di imparare a gestire i conflitti. In fin dei conti dire ciò che si pensa, se fatto con modi e tempi per l’altro accettabili, è l’unico modo per essere davvero sinceri con gli altri ma anche e soprattutto con se stessi.
Tuttavia chi soffre di questa forma mascherata di aggressività non sempre ne è consapevole e questo rende ovviamente più complesso l’accesso ad un percorso di cura.
Cosa possono fare le “vittime” di un passivo aggressivo
Per quanto riguarda le “vittime” di un passivo aggressivo la questione è più complessa, ancora tutto dipende dalla situazione. Se parliamo di un familiare stretto come un marito o la moglie la situazione sarà ben diversa rispetto a quella di essere “attaccati” da uno sconosciuto.
In generale può tornare utile anche in questo caso comprendere il senso di questa tendenza mentale. Chi passivamente aggredisce l’altro lo fa per colpirlo, ferirlo senza doverne pagare le conseguenze. Le possibilità che si presentano sono quindi almeno due. La prima più semplice è quella di evitare l’altro. Se non ci piace il modo in cui ci tratta perché dovremmo sopportarlo? Evitandolo e non reagendo agli attacchi impliciti la persona perderà di motivazione non riuscendo in definitiva ad ottenere il suo scopo.
Un’altra possibilità è quella di far comprendere all’altro che cosa rischia se continua a comportarsi così, spiegandogli con chiarezza quali sono gli atteggiamenti che ci danno fastidio. Se ad esempio un dipendente continua ad arrivare dieci minuti in ritardo al mattino nonostante i diversi richiami possiamo prenderlo in disparte e fargli comprendere che tale comportamento scorretto può essere sanzionato. Se continua sanzionarlo.
Andare più in profondità può essere una soluzione
L’altra possibilità riservata magari alle relazioni più importanti dove in fin dei conti teniamo all’altro o non possiamo evitarlo è quella di andare in profondità nelle questioni. Questa è una strada difficile che dipende in buona misura dalle nostre abilità di negoziazione ma anche da quanto l’altro è consapevole effettivamente dei suoi atteggiamenti. Potremmo ad esempio fargli notare le volte in cui ci siamo sentiti sottilmente aggrediti e raccontargli come ci sentiamo.
In ogni caso, come detto, ogni situazione va vista per ciò che è ed è davvero difficile dare delle indicazioni di massima che vadano bene sempre. Forse potrebbe esserti utile questo video in cui descrivo una serie di tecniche per imparare a gestire meglio il conflitto.