Le persone anaffettive sono persone che non riescano a mostrare le proprie emozioni. Sono spesso fredde e distaccate, e sebbene possano vivere delle fasi di maggior intensità affettiva, possono poi staccarsi con grande facilità, lasciando spiazzato il proprio interlocutore. Vivere con una persona anaffettiva può essere fonte di grande sofferenza e, nel tempo, può minare profondamente autostima e fiducia in se stessi.
Soprattutto all’interno di una relazione affettiva, non riuscire a comprendere i vissuti e i reali sentimenti dell’altro può risultare molto difficile da gestire.
Ma perché alcune persone fanno fatica a mostrare le proprie emozioni mentre altre vi riescono con facilità? Come si struttura l’anaffettività nella personalità umana?

Anaffettivi consapevoli e inconsapevoli
Una prima distinzione va fatta rispetto a quelle persone che scelgono consapevolmente di mostrare un certo distacco emotivo rispetto alle situazioni che vivono nella vita. In questo caso non si può propriamente parlare di anaffettività e spesso il distacco emotivo può essere visto più come una risorsa che come un limite.
La questione centrale è quella della consapevolezza. Di come grazie ad essa possiamo riconoscere i nostri modelli di funzionamento e agire di conseguenza. Sviluppare un sano distacco emotivo può essere una conquista importante.
Diverso è il caso in cui una persona, pur consapevole di essere distaccata emotivamente, non riesca a farne a meno. Questo potrebbe accadere per paura, o per un’incapacità sviluppata fin dai primi anni di vita. Ancora più complicato è il caso in cui le persone anaffettive lo siano senza essere consapevoli di ciò che loro accade.
I casi sono molti e diversificati, tuttavia vi sono oggi conoscenze solide che possono aiutare a comprendere come una persona sviluppi una difficoltà a comprendere e esprimere le proprie emozioni.
Le persone anaffettive e gli studi sull’attaccamento umano
Gli studi più interessati sullo sviluppo umano, al momento disponibili, sono quelli sviluppati da John Bowlby. Grazie al suo lavoro pionieristico Bowlby ha mostrato al mondo come nel corso dello sviluppo le persone si suddividano, sviluppando diverse forme di attaccamento umano.
Bowlby è stato il primo a ipotizzare che l’essere umano abbia sistema innato di attaccamento, che gli permette di apprendere come stare in relazione con le figure che si dovranno occupare di lui. Tale sistema è anche responsabile del nostro modo di relazionarci una volta cresciuti.
In particolare Bowlby ha riscontrato quattro tipologie di attaccamento:
- Sicuro
- Insicuro preoccupato
- Insicuro evitante
- Disorganizzato
Puoi approfondire qui la teoria dell’attaccamento di Bowlby.
Parlando di persone anaffettive la tipologia di attaccamento che va compresa è quella “insicuro evitante”. La persona che sviluppa questa tipologia di attaccamento fa fatica a riconoscere le proprie emozioni, perché abituata fin da piccola a non vederle. Non essendo visto dagli altri non impara a vedersi.
Il bambino insicuro evitante apprende che non incontrerà lo sguardo del genitore, e a furia di non essere visto smetterà di ricercare quella condivisione di sguardi così importante per lo sviluppo emotivo. Come gli studi di Bowlby, e a lui successivi, hanno mostrato, lo stile di attaccamento dei genitori viene tramandato di generazione in generazione. Figli insicuri evitanti diventeranno genitori distaccati, portando i loro figli a sviluppare la stessa tendenza della mente.
Come si struttura l’anaffettività secondo la visione di Bowlby
Non riuscendo a vivere esperienze di sincronizzazione emotiva il bambino non imparerà a vedersi, e a sentirsi riconosciuto nello sguardo dell’altro. Questa mancanza di “funzione riflessiva” lo porterà a non riconoscere prima, e poi sentire, le proprie emozioni e sensazioni.
Crescendo i bambini che avranno vissuto queste dinamiche interattive diverranno facilmente persone anaffettive, incapaci di riconoscere le proprie emozioni e spesso nemmeno a sentirle. La ricerca ha mostrato come già da bambini, in seguito a ricorrenti fallimenti interattivi, il bambino smetta di mostrare alcuna reazione emotiva, sebbene misurazioni di altro genere (come la conduzione elettrogalvanica della pelle o il battito cardiaco) mostrino un’intensa attività in tal senso.
Nel corso della crescita la persona anaffettiva si identificherà sempre più in questo suo modo di essere e percepire se stessa, senza più mettersi in discussione. Da adulto un bambino insicuro evitante avrà facilmente la tendenza a non riconoscere le proprie e altrui emozioni, e a vivere molta difficoltà nel riconoscere questo aspetto così importante della vita sociale. Spesso di fronte anche a eventi emotivamente coinvolgenti (nel bene e nel male), sarà distaccato lasciando a volte in difficoltà le persone intorno a sé.
Cambiare i propri stili di attaccamento
Come accennato la consapevolezza gioca un ruolo centrale in tutti i processi di crescita. Anche in questo caso, una persona che dovesse divenire consapevole della propria anaffettività, potrà iniziare a lavorarci su, cercando di cambiare i propri modelli interni. La ricerca ha mostrato come esperienze relazionali sane possano aiutare le persone a riconoscere prima, e poi nel tempo a modificare, i propri stili di attaccamento. Tuttavia il percorso non è certamente semplice.
Spesso le persone anaffettive soffrono nelle interazioni della vita, proprio perché non riescono a mantenere relazioni stabili e sicure. A meno di trovare un partner a sua volta incapace di mostrare e vivere emozioni, una persona anaffettiva incontrerà non poche difficoltà.
In realtà saranno proprio quelle difficoltà a fungere da motore per il cambiamento, aiutando la persona a mettersi in discussione e a ricercare dei modi per poter cambiare. Di certo uno dei più veloci ed efficaci sarà quello di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Le persone anaffettive hanno storie molto diverse
Tuttavia è importante ricordare come ciascuna persona abbia storie e percorsi diversi. È così molto difficile definire quale potrà essere la traiettoria di sviluppo delle diverse persone anaffettive. A parità di difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni, le motivazioni e scelte di ciascuno potranno essere molto differenti.
Alcuni, rendendosi conto della propria difficoltà, potranno scegliere di lavorarci su, altri assolutamente no. Anzi, per alcuni riconoscere di avere questo punto debole potrebbe essere fonte di angoscia e preoccupazione, al punto da evitare ancora più le relazioni percepite come disturbanti.
Altri ancora potrebbero sapere benissimo di non provare molte emozioni ma usare consapevolmente questa propria caratteristica per avere un vantaggio predatorio sugli altri. Questo è il caso delle persone con un alto livello di fattore D, il fattore conosciuto oggi in psicologia come la causa della cattiveria umana.