L’empatia è una funzione molto importante del nostro sistema. Grazie ad essa siamo in grado di identificarci nell’altro e percepire cosa l’altro sente o sperimenta. Provando empatia possiamo stiamo in relazione e crescere ogni giorno.
L’empatia è una reazione naturale, istintiva sostenuta da un preciso apparato neuronale che ci permette di vivere ciò che vive l’altro osservandolo ed entrando in contatto con lui.

Diversa dal sentimento più strutturato della compassione l’empatia si attiva naturalmente senza bisogno necessariamente di un contatto verbale o di una particolare rielaborazione cognitiva. Il termine empatia deriva dal greco ἐν, “in”, e –πάθεια, dalla radice παθ– del verbo πάσχω, “soffro”. Quando proviamo empatia sperimentiamo internamente ciò che sperimenta l’altro. Viviamo nell’altro.
Rizzolati e la scoperta dei neuroni a specchio
Per lungo tempo l’empatia è stata analizzata in psicologia come una caratteristica fondamentale dell’uomo ma solo negli ultimi decenni la sua natura è stata identificata grazie ai nuovi strumenti di neuroimaging.
Nel 1992 Giacomo Rizzolati, un neuroscienziato italiano residente a Parma ha avuto il grande merito di scoprire per primo il substrato neuronale che ci permette di sperimentar l’empatia. Durante un esperimento scoprì, insieme alla sua equipe di ricercatori, un gruppo di neuroni nella corteccia premotoria che si attivava anche solo osservando una persona compiere un’azione, così come si sarebbe attivata se fosse stata la stessa persona a compierla.
In realtà la scoperta fu dovuta a un caso.
In laboratorio i ricercatori stavano osservando la corteccia premotoria di una piccola scimmietta mentre compiva diverse azioni. Lo studio era finalizzato a monitorare le aree del cervello che tendevano ad attivarsi in relazione alle specifiche azioni. Durante la pausa un ricercatore prese del cibo e iniziò a mangiarlo. La scimmia non stava compiendo nessuna azione se non osservare eppure nel suo cervello si attivarono le stesse aree che si sarebbero attivate se fosse stata lei a mangiare.
La scoperta fu fondamentale, replicata in diverse ricerche successive e confermata. Rizzolati e la sua equipe avevano scoperto il meccanismo fondamentale che ci permette non solo di provare empatia ma anche di apprendere osservando gli altri.
Empatia e apprendimento
Proprio questo sistema neuronale ci permette di provare empatia nelle diverse situazioni della vita. Guardando gli altri in noi si attivano le stesse aree che si attiverebbero se stessimo vivendo ciò che l’altro vive. Tale identificazione è immediata, istintiva, non necessariamente passata al vaglio della coscienza.
Grazie a questo funzionamento di base noi esseri umani riusciamo a identificarci e grazie a questa identificazione riusciamo ad apprendere ciò che fanno gli altri.
La scoperta dei neuroni a specchio e del nostro modo di funzionare chiarisce fondamentalmente quindi come avvengono i processi di apprendimento. Identificandoci, empatizzando con l’altro viviamo come l’altro e e apprendiamo ciò che l’altro fa.
E’ lecito dire che come diceva Albert Schweitzer, il grande medico filantropo “L’esempio non è un metodo, è il metodo”. L’esempio è ciò che permette all’altro ad apprendere.
Empatia positiva e negativa
Tuttavia non sempre questa funzione dell’empatia riesce a funzionare. In molti casi si assiste a situazioni dove le persone sembrano mostrare un deficit di empatia. Come se il sistema neuronale fondamentale che ci permette di identificarci in alcuni casi non si attivasse.
In questi casi si parla di empatia negativa in contrapposizione con l’empatia positiva. Spesso tale condizione è associata a traumi, violenze passate, sistemi culturali forti che intervengono nella capacità della persona di provare empatia.
Un sistema che funziona in armonia naturalmente dovrebbe essere portato a provare empatia, tuttavia esperienze pregresse negative o condizionamenti culturali sembrano avere un ruolo importante nella nostra capacità di provare empatia e di connetterci con gli altri.
Un esempio tipico è quello delle guerre in cui lo schieramento sui diversi fronti crea come una differenziazione fondamentale fra amici e nemici. Identificando l’altro come nemico o avversario il meccanismo fondamentale dell’empatia andrebbe a disattivarsi non permettendoci più di identificarci con ciò che l’altro prova.
Dall’empatia alla teoria della mente
Possiamo così assistere a come i nostri pensieri e convinzioni possano giocare un ruolo importante nella nostra percezione dell’altro.
Oltre infatti ad identificarci con l’altro e a provare ciò che l’altro prova attiviamo nel tempo un sistema cognitivo sempre più complesso e strutturato che ci porta a costruirci un “teoria della mente” dell’altro.
Tale rappresentazione complessa e articolata potrà portarci a identificarci o meno con l’altro e conseguentemente a provare o meno un’empatia positiva o negativa. Questo chiaramente in relazione a tutto il nostro sistema cognitivo fatto di regole e abitudini individuali, sociali e culturali.
La nostra cognizione subentra modificando la percezione stessa.
Come riporta Jean Decety in un articolo dal titolo The Neurodevelopment of Empathy in Humans vi sono prove convincenti secondo cui comportamenti precoci di aiuto altruistico emergano già all’inizio dell’infanzia. I bambini di età inferiore ai 12 mesi tendono naturalmente a cercare di confortare persone sofferenti e i bambini di età compresa tra 14 e 18 mesi mostrano comportamenti di aiuto spontanei e non ricompensati. Crescendo tale attitudine spontanea viene poi modulata sulla base dell’apprendimento sociale.
Identificandoci sempre più in un preciso contesto sociale o culturale andiamo a modificare la nostra capacità innata e biologicamente predisposta di provare empatia arrivando in alcuni casi estremi, che la storia tristemente ricorda, a perdere completamente questa facoltà.
Meditazione e sintonizzazione emotiva
Alcuni altri studi vengono oggi condotti per comprendere quanto pratiche meditative aiutino ad incrementare l’empatia.
La meditazione, nella sua forma oggi più studiata denominata Mindfulness sembra giocare un ruolo importante nell’allenarci a provare empatia.
La mindfulness consiste essenzialmente in una pratica di consapevolezza che ci porta a ritornare al presente, a ciò che accade, alla realtà. Meditando apprendiamo a percepire le cose come stanno senza essere condizionati o identificati in stati interni che automaticamente prendono il sopravvento in noi.
Tale disidentificazione ci permette di ritornare al nostro corpo, di riappropriarci di sensazioni e percezioni, liberandoci da quei veli che troppo spesso ci impediscono di sentire.
Proprio per questo motivo la pratica meditativa ci aiuta a provare nuovamente empatia e compassione. Le ricerche in questa direzione hanno mostrato come una pratica meditativa costante porti alla costruzione in noi di tratti di personalità stabili caratterizzati dalla capacità di connetterci e percepire l’altro son sempre maggiore intensità.
La meditazione viene anche associata ad un maggior altruismo oltre che ad una maggiore serenità e buona predisposizione nella vita.
In questo video approfondisco il tema dell’empatia.