Uno dei grandi limiti che possiamo incontrare nella vita ha a che fare con le cognizioni negative su noi stessi. Opinioni, convinzioni, o più strutturate credenze su come siamo, vanno a guidare il nostro pensiero e il nostro agire, divenendo spesso un ostacolo al raggiungimento di obiettivi e serenità.
Le cognizioni negative su noi stessi hanno diverse origini. Come tutto ciò che pensiamo, o in cui crediamo, sono il frutto dell’esperienza e, soprattutto, della rielaborazione di tale esperienza.

La nostra mente costantemente tende a dare un senso a ciò che accade, a generalizzare, a cercare e individuare schemi comuni da applicare alla realtà. Mentre viviamo il nostro sistema cerca di dare continuità all’esperienza, costruendo una rappresentazione sempre più coerente di quanto accade.
Questo è un meccanismo del tutto naturale, utile per raggiungere una comprensione più completa e articolata della realtà. Vivendo costruiamo un’immagine strutturata anche di noi stessi, spesso senza più metterla in discussione.
Stili attributivi e Locus of control
In psicologia abbiamo a lungo studiato atteggiamenti e stili attributivi delle persone, riconoscendo come ciascuno di noi abbia la tendenza a percepire la realtà, e le cause di essa, diversamente.
Un esempio di stili attributivi molto studiato è il Locus of Control.
Secondo la teoria del locus of control, originata dagli studi sulle attribuzioni causali di Heider, ciascuno di noi tende a ricercare la causa di ciò che avviene attribuendo essa a ragioni interne (locus of control interno) o esterne (locus of control esterno).
Chiaramente, in base al nostro locus of control, avremo una percezione molto di versa di noi stessi e della realtà. A seguito di un insuccesso, attribuire la “colpa” a noi stessi o a fattori esterni, farà completamente la differenza in termini di vissuti e di ricostruzioni successive.
Un altro criterio da considerare nello stile attributivo è la “stabilità”, quanto riteniamo che le cause siano stabili, e la controllabilità, ovvero quanto riteniamo di poter intervenire su di esse.
Se ad esempio ritengo che un insuccesso dipenda da me, e che io non abbia alcuna possibilità di cambiare, potrei entrare nel circolo vizioso dell’impotenza appresa. Questi pensieri disfunzionali, o cognizioni negative, potranno andare a incidere pesantemente nella mia vita, causandomi danno.
Da dove originano le cognizioni negative su noi stessi
Le cognizioni negative che possiamo avere su noi stessi possono avere diverse origini.
Prima di tutto, ciò che maggiormente ci plasma nella vita sono le relazioni che viviamo in essa.
Fin da bambini apprendiamo modi di agire e pensare, osservando i nostri familiari e condividendo con loro la vita. Il clima che possiamo respirare in famiglia, giorno per giorno, influenza profondamente la nostra esperienza, incidendo così anche sulla percezione di noi stessi.
Accoglienza, amore, condivisione, oppure rifiuto, stress, o, peggio, violenza, andranno a creare in noi cognizioni molto diverse rispetto a noi stessi.
Le relazioni sono la fucina in cui forgiamo la nostra stessa percezione della realtà. Noi siamo esseri relazionali, che apprendono dall’esperienza. Relazioni funzionali e positive ci aiutano nella costruzione di un’immagine positiva di noi stessi e di adeguatezza. Viceversa, relazioni difficili, o vere e proprie relazioni tossiche, possono concorrere nella creazione di cognizioni negative verso noi stessi.
Un’altra origine delle cognizioni negative può essere quella traumatica, dove il trauma ci porta alla strutturazione di cognizioni negative con un grande impatto emotivo, dato proprio dalla cristallizzazione in noi dell’esperienza traumatica. Un esempio eclatante è quello del disturbo da stress post traumatico.
Cognizione negativa e profezia che si autoavvera
Come gli studi sugli stili attributivi hanno mostrato, le cognizioni negative rispetto alla realtà e, tanto più verso noi stessi, tendono a essere particolarmente stabili.
Noi esseri umani tendiamo a notare maggiormente ciò a cui pensiamo. Un chiaro esempio di questo si ha con le “profezie che si autoavverano“. La nostra convinzione che qualcosa accada la fa accadere.
Uno studio interessante, a tal proposito, è stato quello condotto da Rosenthal con un gruppo di studenti.
Suddivisi in due classi, in base al quoziente intellettivo, Rosenthal spiegò alle insegnanti la suddivisione, lasciando loro il compito di seguire gli studenti durane l’anno scolastico. La classe degli “intelligenti” riportò risultati nettamente superiori, peccato che la suddivisione iniziale nelle due classi fosse stata, in realtà, del tutto casuale.
L’aspettativa (basata su dati falsi) delle insegnanti andò a modificare il risultato.
Lo stesso processo si può scorgere nella persistenza e negli effetti delle cognizioni negative. Crediamo di essere sbagliati, e costantemente percepiamo situazioni che tendono a confermare la nostra cognizione negativa.
Azione e metacognizione
Un aspetto importante da comprendere rispetto alle cognizioni negative verso noi stessi ha a che fare con il processo di metacognizione. Ogni pensiero, parola o azione, che compiamo nella vita, veicola un messaggio, una meta-cognizione. Ruminando o rimuginando sugli gli stessi pensieri, dicendo sempre le stesse cose, o compiendo (o non compiendo) sempre le stesse azioni, continuamente confermiamo meta-cognitivamente delle credenze su noi stessi.
Nella maggior parte dei casi tali credenze sono errate, perché basate su dati parziali o addirittura falsi, come nel caso delle insegnanti di Rosenthal.
Da bambini possiamo, ad esempio, vivere una condizione di solitudine e di insicurezza a scuola. Tale esperienza può generare in noi l’idea di non essere adeguati nei contesti sociali. Tale cognizione negativa, in alcuni casi, potrebbe spingerci a pensare e agire di conseguenza.
Potremmo dirci di non essere capaci a socializzare o, peggio, di non andare proprio bene. La conseguenza potrebbe essere quella di iniziare a evitare la possibilità di costruire nuove relazioni, o anche solo di parlare con persone fuori dal nostro circolo abituale. Nel tempo, e questo è solo un esempio, i nostri pensieri, parole e azioni, basate sulla nostra cognizione negativa, potrebbero portarci a consolidare sempre più in noi la credenza di non andare bene.
In realtà, avremmo potuto avere solo compagni difficili a scuola o disattenzione da parte degli insegnanti o una qualsiasi altra contingenza, che magari non ricordiamo neanche. Tutte esperienze che da bambini ci segnano, perché vissute in una fase della vita in cui non abbiamo tutte le risorse per avere una chiara rappresentazione della realtà e degli eventi che in essa accadono.
Quando la cognizione negativa diventa una gabbia
Consolidandosi così nel tempo e continuando a confermala dentro noi stessi, la cognizione negativa può divenire una gabbia difficile da aprire, un limite che costantemente si ripresenta nella nostra vita, divenendo, in alcuni casi, un’immagine stabile e consapevole di noi stessi.
In altri casi, ancora più “subdoli” la nostra cognizione negativa potrebbe essere sepolta fra le pieghe della mente, portandoci a percepire un senso di inadeguatezza o precarietà difficili da definire. Questo accade spesso in relazione ad eventi remoti che ci hanno segnato emotivamente, ma mai rielaborati.
Soprattutto quando le credenze di noi stessi non sono del tutto consapevoli, ma agiscono nella nostra vita portandoci a percepire diverse contraddizioni fra pensieri, parole e azioni, può divenire difficili liberarcene.
Come superare le cognizioni negative di noi stessi
Tutti ci troviamo, prima o poi, chiamati ad affrontare i nostri demoni, le nostre paure, quelle parti oscure di noi stessi che facciamo fatica a collocare nell’economia della nostra vita interiore ed esteriore.
Affrontare e superare le cognizioni negative di noi stessi non è sempre semplice. Alle volte, come detto, è difficile persino individuarle.
Un primo passaggio utile da compiere può essere quello di osservare proprio le nostre contraddizioni e, partendo da esse, imparare a conoscere meglio noi stessi e come funzioniamo. Incontrando cognizioni negative potremmo, ad esempio, iniziare a metterle in discussione. Domandandoci perché non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi nella vita potremmo scontrarci con credenze del passato che ancora ci limitano.
In alcuni casi può essere necessario anche un intervento più strutturato di psicoterapia, che ci possa aiutare a vedere meglio che cosa accade in noi e ripercorrere, insieme, la nascita e crescita delle nostre credenze.
Spesso, all’intento del percorso, potrà essere utile l’utilizzo di strumenti specifici come la Mindfulness, per riuscire sempre più a controllare la mente, e selezionare con più cura pensieri e credenze. L’ipnosi clinica nelle sue diverse forme o l’EMDR, in caso di eventi più traumatici ancora attivi e fonte di sofferenza.