Anaffettività, come affrontarla

L’anaffettività è una specifica tendenza della persona che si palesa come l’incapacità a mostrare o provare emozioni. Nel gergo comune la persona anaffettiva è così una persona algida, non in grado di relazioni intense, profonde, caratterizzate da empatia e affetto.

Anaffettività come patologia della mente

Diversa da un sano distacco emotivo, l’anaffettività può caratterizzare un quadro più patologico come un disturbo evitante di personalità, dove la persona ha sviluppato una pressoché totale incapacità ad entrare in profondità nelle proprie emozioni. Chi soffre di un disturbo di personalità ha una vita profondamente inficiata da questa menomazione, arrivando spesso ad un ritiro e a un isolamento sociale.

In questi casi l’intelligenza emotiva risulta particolarmente scarsa, sia rispetto alle competenze personali di riconoscimento e gestione delle proprie emozioni, e sia rispetto alle competenze sociali di riconoscimento e gestione delle dinamiche relazionali.

Molto spesso un sintomo di anaffettività è associato ad uno stile di personalità evitante. Meno grave di un disturbo ma sicuramente altrettanto invalidante in molte situazioni della vita.

Anaffettività

Le caratteristiche di una persona anaffettiva

I segni di questa tendenza sono diversi. La persona anaffettiva non è in grado di empatizzare, di identificarsi nell’altro, di comprenderlo, di provare emozioni congrue alla situazione. Spesso predilige situazioni di isolamento o, anche quando si trova nelle relazioni con gli altri, tende a mantenere una marcata centratura su di sé.

L’essere anaffettivi può essere una scelta consapevole oppure una reazione inconscia a tutta una serie di situazioni vissute nella vita. Alcune persone possono decidere di essere anaffettive a causa di sofferenze reiterate nel tempo che le hanno portate a chiudersi sempre più. Altre possono aver sviluppato una tendenza all’anaffettività nel corso della vita senza mai essere pienamente consapevoli. Un esempio classico è quello del narcisista inconsapevole.

Stare con una persona anaffettiva porta naturalmente a sviluppare vissuti di solitudine e isolamento. In taluni casi ci si potrebbe anche percepire come inadeguati e poco amati. Difficilmente la persona anaffettiva prova ed esprime i propri sentimenti e spesso fa fatica a comprendere quelli degli altri.

In alcuni casi chi soffre di una forte anaffettività può arrivare a vivere con fastidio le relazioni umane o anche solo il semplice contatto fisico.

L’anaffettività del narcisista

Un caso classico che può aiutare a comprendere come funziona l’anaffettività, e il suo strutturarsi nella mente, è quello del narcisismo. A causa della ferita narcisistica in narcisista si chiude su se stesso, non riuscendo più a vedere l’altro. Tratti tipici del narcisismo sono l’incapacità di provare empatia, di riconoscere i bisogni dell’altro, di vivere un’affettività sana e completa. Per proteggersi dal profondo vuoto interiore, derivante dall’assenza di empatia, il narcisista sviluppa un sé grandioso che deve proteggere per riuscire a mantenere integra la propria identità.

Il narcisista, che vive un profondo vuoto affettivo, deve mantenersi distaccato da tutti gli altri per non entrare in contatto con esso. Questo è il suo dramma. Nel mito Narciso, vedendo la sua immagine riflessa nell’acqua, si innamora di essa. Tuttavia, compreso che l’immagine era la sua, decide di morire. Consapevole che non avrebbe mai potuto ottenere se stesso. In realtà ciò che Narciso provava era un grande vuoto affettivo.

Come si sviluppa l’anaffettività

Le relazioni che viviamo fin dai primi anni di vita vanno a costruire il tessuto della nostra mente. Nei primi anni della nostra vita e poi così via nel corso del tempo apprendiamo quelle competenze emotive fondamentali che ci permetteranno poi di vivere in relazione. John Bowlby, il padre degli studi sull’attaccamento umano, ha ben definito e spiegato questi meccanismi, mostrando quanto le interazioni che viviamo fin da bambini ci strutturino nel tempo.

Una delle categorie da lui individuate grazie ai suoi studi su migliaia di soggetti è quella evitante. Le caratteristiche di una persona evitante sono di certo riconducibili ad una forte anaffettività. L’evitante non è davvero in grado di riconoscere i propri stati interni, non avendo avuto fin da piccolo qualcuno che li riconoscesse per lui e che grazie alla relazione gli passasse questa consapevolezza.

Prova a immaginare un bambino che fin dai primi istanti della vita cerca continuamente di incrociare lo sguardo della madre senza mai incontrarlo oppure di toccarla senza mai ricevere un abbraccio e una carezza. Molto probabilmente quel bambino imparerà presto a non lasciare più spazio a questo istinto di avvicinamento. Semplicemente la vergogna, il senso di inadeguatezza, la frustrazione provata lo porteranno ad evitare sempre più situazioni analoghe.

Crescendo quel bambino potrà così trovarsi ad essere un adulto che in automatico non da alcuno spazio alla sfera affettiva.

Il trauma come causa di una forte anaffettività

Molto spesso chi presenta un quadro di anaffettività si può essere anche trovato ad affrontare situazioni traumatiche o abusanti che possono aver spezzato quello stesso tessuto della mente. Il trauma agisce così, come un evento talmente lontano dai nostri canoni, dalla rappresentazione che abbiamo della realtà, da immobilizzarci catapultandoci in una condizione di profonda sofferenza.

Il trauma, nelle sue diverse forme può portare ad una condizione di anaffettività, semplicemente perché la persona non è più in grado di entrare in contatto in se stessa con quella parte affettiva così importante. La morte improvvisa di una persona cara, un abbandono, un abuso, questi ed altri eventi possono andare a rappresentare il trauma nella vita della persona, portandola ad isolarsi sempre più.

In alcuni casi più gravi come nel caso del disturbo post traumatico da stress la persona può anche non ricordare di aver subito un trauma, ritrovandosi semplicemente con i sintomi dell’evento. Inconsciamente potrebbe essere portata a difendersi da tutto ciò che possa essere collegato a quanto accaduto, compresa l’intimità nelle relazioni.

Questione di genere

Una questione che spesso viene posta è quanto l’anaffettività possa riguardare il genere maschile o femminile. Nello stereotipo culturale tipicamente è l’uomo ad avere maggiore difficoltà con la propria affettività e quindi con l’altro. In realtà l’anaffettività è uno stato di sofferenza interiore legato a una storia problematica che può riguardare sia l’uomo che la donna.

Di certo la socializzazione al ruolo che viviamo fin da bambini può avere un impatto sulla nostra tendenza a focalizzarci (o meno) sulle emozioni, tuttavia le traiettorie di vita delle persone possono essere svariate, a prescindere dal genere di appartenenza. Vi sono molte donne che fanno fatica a vivere la propria affettività, al pari degli uomini. La questione più importante ha a che fare con la storia delle persone. Aver vissuto delle situazioni di sofferenza emotiva, distacco, scarsa empatia, inevitabilmente può aver portato a sviluppare una maggiore chiusura rispetto alle emozioni e questo non prerogativa di un genere rispetto a un altro.

Come fare se siamo in relazione con una persona anaffettiva

E’ difficile dare una risposta a questa classica domanda. Ogni relazione è unica, così come sono uniche le persone. Di certo vivere con una persona che non prova e non mostra emozioni non è semplice. Nel tempo una tale relazione potrebbe anche portare a sviluppare prima un disagio e poi delle vere e proprie forme patologiche.

A seconda della tipologia di relazione si tratta di comprendere quale sia lo “spazio di manovra”. Se ad esempio la persona anaffettiva sarà il mio compagno, o mio figlio, o un mio genitore, come anche un collega o un conoscente, il mio impegno nella relazione potrà chiaramente variare significativamente.

Di norma, una forma mentale di anaffettività non cambia facilmente, a meno di non intraprendere un percorso più strutturato di lavoro su di sè, come una psicoterapia. Tuttavia non sempre la persona anaffettiva è in grado di riconoscere questa sua difficoltà. A nulla varrebbe chiaramente cercare di costringere l’altro a intraprendere un percorso.

Se tuttavia la persona mostrasse un sincero desiderio di cambiare, il lavoro andrebbe nella direzione di riconoscere sempre più i propri stati interni, fino a sviluppare sempre più una certa consapevolezza di sé.

La psicoterapia come strumento per gestire l’anaffettività

Come accennato una psicoterapia può essere un buono strumento per affrontare una problematica del genere. Il presupposto è sicuramente la motivazione al cambiamento, ma di certo in un percorso di terapia si può fare molto.

Il lavoro terapeutico consisterà nell’aiutare la persona a riprendere contatto con le proprie emozioni. In alcuni casi a sviluppare una vera e propria “alfabetizzazione emotiva“. Come se la persona dovesse sviluppare anche i termini per definire le proprie emozioni.

In un percorso di terapia, la relazione che si sviluppa con il terapeuta, e le continue sincronizzazioni con esso, aiutano la persona a rivivere, o a volte vivere per la prima volta, quelle dinamiche riflessive in cui, grazie allo sguardo dell’altro, diviene più facile conoscere se stessi.

Inoltre un intervento di psicoterapia integrato (che preveda quindi l’utilizzo di diversi strumenti come ad esempio l’ipnosi) consente anche di andare a lavorare più in profondità, sia sui modelli operativi interni che abbiamo costruito fin dai primi anni e sia su eventuali condizioni traumatiche che, come un blocco, impediscono le emozioni di tornare a fluire.

Consapevolezza e anaffettività

Rispetto ai problemi con la propria affettività la questione della consapevolezza diviene un tema centrale. La persona anaffettiva fa fatica a riconoscere e autoregolare i propri stati interni e quindi semplicemente non è consapevole di sé.

Una delle forme di intervento più efficaci, usate anche in terapia, per lavorare su questa tendenza della mente è oggi costituita da pratiche come la Mindfulness. Pratiche di consapevolezza che aiutano la persona a portare sempre più attenzione al proprio mondo interno. A ciò che accade dentro di sé.

Grazie alla pratica di consapevolezza, giorno dopo giorno, sviluppiamo sempre più una competenza autoriflessiva, grazie alla quale comprendere, nel dispiegarsi della vita, tutti i nostri continui movimenti interni.

Come fare se penso di avere un problema con la mia affettività

Se leggendo pensi di avere un problema con la tua affettività, ciò che ti posso suggerire in primo luogo è di informarti, di leggere sull’argomento, di portare sempre più attenzione a questa sfera così importante della tua vita.

Potresti ad esempio anche cercare semplicemente di allenarti a riprovare emozioni, magari ripartendo da dove ricordi di averle provate l’ultima volta. Amici, relazioni, luoghi, ma perché no anche canzoni o film. Rinizia a ricordarti delle tue emozioni a farvi caso, a differenziarle dentro di te, riconoscendone le sfumature.

Come accennato potresti anche iniziare a praticare la Mindfulness o, nel caso ti accorgessi di fare molta fatica e di non riuscire da solo a riconquistare questa così importante parte dei te stesso, puoi anche chiedere un aiuto specialistico che ti permetta di ritornare sempre più a prenderti cura di te.

Nonostante le difficoltà che possiamo vivere in alcuni momenti della nostra vita, le emozioni, e più in generale l’affettività, sono una componente connaturata all’essere umano. Riconoscendo di avere un deficit in quest’ambito si tratterà, come in tutte le cose, di dedicargli la giusta attenzione, cercando di ripristinare le proprie funzioni naturali.

Iniziare a lavorare sulle relazioni

L’anaffettività ha a che fare con le relazioni della nostra vita. Relazioni asincrone, caratterizzate da scarsa empatia, da una deficitaria funzione riflessiva, possono portare a sviluppare una difficoltà a sentire e riconoscere le emozioni, e quindi ad una problematica relativa all’anaffettività.

Per poter quindi lavorare sulle proprie capacità emotive e affettive sarà necessario intervenire sulle relazioni della nostra vita. Come la mente si ammala all’interno delle relazioni, così allo stesso modo la mente può guarire all’interno di esse. Noi esseri umani siamo principalmente esseri relazionali. Sono le relazioni a costruire il tessuto stesso della nostra mente. A livello cerebrale tutte le situazioni che viviamo ci portano ad attivare delle configurazioni specifiche, che, nel tempo, tendono a consolidarsi. L’anaffettività è così associata a delle specifiche configurazioni neuronali che vedono alcune aree maggiormente interessate, come nel caso dell’amigdala, una zona del cervello deputata alle regolazione delle emozioni. 

Quando viviamo relazioni sane, empatiche, in cui ci sentiamo riconosciuti dagli altri, il nostro sistema nervoso sviluppa consuetudini che procurano piacere e benessere. Viceversa, quando ci troviamo all’interno di relazioni disfunzionali, problematiche, fredde, anaffettive, il nostro sistema nervoso sperimenta emozioni negative di vergogna, senso di inadeguatezza, frustrazione, vuoto affettivo. Esperienze relazionali di questo genere, reiterate nel tempo, portano a sviluppare un distacco dalle nostre emozioni e dalla capacità di provare empatia.

Costruire relazioni affettivamente positive

Ciò che quindi possiamo fare per lavorare sulle nostre capacità affettive è ricercare relazioni sane e di valore. In cui andare in profondità nel legame, condividendo gli aspetti più importanti della vita. La nostra è una società liquida che ci spinge sempre più alla superficialità. Tanti contatti ma poco contatto. Di certo possiamo attribuire anche una causa sociale all’anaffettività dilagante. Ciò che possiamo fare in questo contesto è lavorare sulle relazioni, cercando di scegliere con cura i nostri amici e coltivando con loro sentimenti sinceri. Questo impegno costante, e la relazione che ne risulterà, potrà essere il tonico migliore per far crescere la nostra capacità affettiva.